La sede della Soprintendenza si trova a Torino, in via Santa Chiara 40/H, nell'ex Ospedale "San Luigi Gonzaga".
La costruzione del palazzo fu decisa nel 1817 dall’Opera pia San Luigi Gonzaga, che intendeva investire le generose offerte dei benefattori nella costruzione di un ospedale da 100 posti letto per persone di ambo i sessi affette da malattie contagiose, per sostituire il piccolo ricovero (appena 24 letti) esclusivamente femminile di cui l’Opera disponeva sui bastioni della città di Torino.
Si decise di edificare il nuovo ospedale in una zona demaniale, nell’area nord-occidentale di Torino, dove precedentemente si trovava la cortina fra i due bastioni dell’angolo nord-ovest del muro di cinta, tra via delle Ghiacciaie (oggi via Giulio), via del Deposito (via Piave), via Santa Chiara e strada Valdocco (corso Valdocco).
Il 12 gennaio 1818 la Consulta dell’Opera pia approvò la scelta, operata da una apposita “Commissione per la nuova fabbrica”, del progetto dell’architetto Giuseppe Talucchi (1782-1868). Poco più di due mesi dopo, il 26 marzo 1818, alla presenza del re e delle autorità cittadine, veniva posta la prima pietra del nuovo ospedale.
Il progetto del Talucchi, modello innovativo di nosocomio che conobbe ben presto fama e imitatori in Italia e all’estero, prevedeva come fulcro la cappella centrale esagonale, da cui si dipartivano, disposti secondo un assetto “a croce di Sant’Andrea”, i bracci delle infermerie: “Maddalena” e “Addolorata” destinati ad accogliere le donne, “San Giovanni” e “Crocifisso” per gli uomini. I quattro bracci erano collegati a due a due da maniche rettilinee che costituivano i fronti brevi su via Santa Chiara e via delle Ghiacciaie, mentre sui lati lunghi, in asse con l’attuale via Piave, si aprivano i due ingressi principali.
L’edificio si sviluppava su tre piani: un seminterrato, il piano delle infermerie e un piano superiore di degenza. In particolare le infermerie che si dipartivano dalla cappella esagonale centrale erano caratteristiche per la concezione a doppia altezza (le volte a botte lunettata raggiungevano un’altezza in chiave di 11 metri) cui corrispondevano due ordini sovrapposti di finestre, e per il sistema di due corridoi sui lati lunghi delle sale, comunicanti tramite arcate e sovrastati da ballatoi, uno interno e uno esterno, per permettere la deambulazione dei malati.
Il secondo piano di degenza prevedeva inizialmente un semplice corridoio centrale circondato da piccole camere illuminate da oculi. Il seminterrato riproponeva un ambiente esagonale centrale da cui si dipartivano corridoi disposti a “croce di Sant’Andrea” illuminati da finestre e destinate a cucine, lavanderia, magazzini, cantine.
Iniziati nel 1818, i lavori di costruzione dell’ospedale andarono a rilento, sia per la carenza di fondi sia a causa di stagioni particolarmente inclementi. Una prima infermeria, quella del braccio femminile “Maddalena” iniziò a essere utilizzata dal 1824, ma solo nel 1838 vennero completate tutte le infermerie del piano terra, anche se non fu possibile adoperarle integralmente fino al 1843; i piani superiori, per cui si modificarono radicalmente i progetti originali mediante la costruzione di camerate da 12 letti (e non di piccole camere) attraversate dal corridoio centrale e illuminate e aerate dagli oculi, furono terminati soltanto nel 1867.
L’ospedale, che nel frattempo si era andato specializzando nella cura della tubercolosi e che nel 1901 aveva raggiunto la massima capacità ricettiva di 243 posti letto, all’inizio del XX secolo si mostrava però sempre più inadeguato ad assistere una popolazione urbana enormemente cresciuta, all’interno della quale la tubercolosi si era andata diffondendo anche a causa delle nascenti attività industriali: per questo nel 1904 l’Ordine di San Luigi decise la costruzione di un nuovo ospedale su un terreno di sua proprietà nei sobborghi meridionali della città.
Ceduto il vecchio edificio al Comune nel 1917 e destinato in un primo momento alla demolizione, l’ex ospedale talucchiano fu scelto nel 1925 come nuova sede di tre Sezioni dell’Archivio di Stato esterne all’Archivio di Corte (Guerra, Finanze e Giustizia), prima collocate in edifici diversi, e da quel momento denominato “Sezioni Riunite”.
I lavori di adattamento dell’edificio alla sua nuova destinazione ne stravolsero in maniera profonda l’aspetto: l’antico palazzo, cui si aggiunse per la rinnovata necessità di spazi la “manica Valdocco” tra il fabbricato originario e il corso omonimo, perse la sua primitiva conformazione architettonica.
Solo nel 1980 si intrapresero imponenti lavori di restauro e recupero, durati più di vent’anni, con lo scopo, oltre che di rendere più funzionali, moderni, sicuri e a norma gli ambienti, di restituire fin dove possibile l’edificio al suo aspetto originario, eliminando le deturpazioni architettoniche che col tempo l’avevano profondamente modificato. Fu al termine di questi lavori che la manica meridionale dell’edificio, prospiciente via Santa Chiara, fu in parte assegnata alla Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta.